E’ uscito ufficialmente il documento finale degli Stati Generali dell’esecuzione penale.

Segnaliamo il link per visionare il documento intero e riportiamo di seguito una sintesi dei 18 tavoli.

http://www.ristretti.it/commenti/2016/aprile/pdf6/documento_finale.pdf

 

TAVOLO 1

Ha sviluppato un intenso confronto sullo stato delle carceri e dell’esecuzione della pena rilevando il ruolo infantilizzante, afflittivo e inabilitante degli spazi le cui cause possono essere attribuite a:

  • un sovraffollamento al quale si è provveduto con recenti provvedimenti istituzionali;
  • le politiche securitarie che hanno limitato i movimenti, relegato i detenuti nelle celle, ostacolato le attività di lavoro e di relazione;
  • il “piano carceri” caratterizzato da controverse collocazioni territoriali e inadeguate tipologie costruttive.

Ne sono emerse le seguenti proposte, mirate a superare il carattere “separato” dell’istituzione:

  1. Apertura di un ampio processo di confronto dell’Amministrazione Penitenziaria con Università, Fondazioni e Istituti di ricerca, Ordini professionali, Enti locali, Associazioni, esperti, finalizzato al raggiungimento di una dignità architettonica degli spazi dell’esecuzione penale, tramite anche il coinvolgimento delle competenze tecniche interne alla stessa Amministrazione;
  2. Redazione di criteri per la progettazione/ristrutturazione degli istituti volti a definire impianti compositivi e funzionali in grado di qualificare le unità residenziali e gli spazi per lavoro, studio, socializzazione, colloqui ed espressione intima degli affetti e delle diverse fedi religiose, in rapporto all’attuazione concreta della “vigilanza dinamica” e di percorsi di responsabilizzazione, autonomia e partecipazione dei detenuti;
  3. Riorganizzazione degli spazi degli istituti carcerari anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli attori interni e la formazione professionale dei detenuti in funzione di una loro partecipazione diretta ai lavori di manutenzione ordinaria;
  4. Redazione di criteri innovativi per la localizzazione di nuovi istituti in contesti di vita attiva, rielaborando la questione del perimetro murario, degli accessi, delle relazioni fisiche con il contesto, privilegiando l’aggancio al territorio urbano e il superamento del carattere separato e isolato degli edifici. Reperimento delle abitazioni per il personale al di fuori del perimetro del carcere in sostituzione degli alloggiamenti nelle caserme interne;
  5. Potenziamento delle strutture a sostegno dell’esecuzione penale esterna (Centri di reinserimento e supporto alle misure alternative, ICAM, Case della semilibertà, Comunità inserite nel contesto urbano). Ridefinizione progettuale delle colonie penali, degli istituti a sicurezza attenuata, delle strutture di detenzione femminile. Valutazione, nell’ambito della dismissione carceraria di istituti detentivi, di ipotesi di riuso finalizzate ad una visione innovativa della esecuzione penale.

Obiettivi

  1. Definire criteri di progettazione in conformità alle direttive europee;
  2. Definire criteri per la ristrutturazione degli istituti esistenti secondo i parametri della”vigilanza dinamica” ;
  3. Coinvolgere e responsabilizzare i detenuti e gli operatori penitenziari, nella riqualificazione e gestione degli spazi;
  4. Definire criteri di progettazione delle strutture territoriali per l’esecuzione delle misure alternative;
  5. Valorizzare le colonie penali esistenti e individuare modalità per il reperimento di nuove strutture;
  6. Gestire la manutenzione degli Istituti anche con l’ausilio di detenuti in possesso dei requisiti professionali e organizzare cantieri scuola per la formazione edile.

TAVOLO 2

L’obiettivo principale è stato quello di adottare un modello di detenzione, rispetto all’attuale ancora sostanzialmente caratterizzato da passività e segregazione, che sia in linea, oltreché con i parametri costituzionali (finalità rieducativa della pena e sua umanizzazione), con le migliori prassi in ambito europeo ed al fine di orientare l’azione congiunta degli operatori verso un nuovo modello caratterizzato da attività ed integrazione, socialità e condivisione, responsabilità ed autonomia.
Questo processo passa anche attraverso l’individuazione di modelli per meglio razionalizzare i circuiti penitenziari e la formulazione di proposte per un graduale superamento del sistema della differenziazione della detenzione tramite l’adozione di circuiti, in particolare per quanto riguarda il circuito di ‘alta sicurezza’, pur nella consapevolezza della centralità della questione dei meccanismi finalizzati a neutralizzare la pericolosità penitenziaria dei c.d. “detenuti difficili”.
La stretta correlazione con il trattamento impone di rivalutare l’opportunità di mantenere una così rigida differenziazione anche per quanto riguarda i circuiti relativi ai detenuti ‘precauzionali’ mercé il graduale inserimento in quelli ordinari di alcune categorie di soggetti, eventualmente attraverso sperimentazioni pilota, immaginando un superamento che passi attraverso un investimento culturale sull’abbattimento delle discriminazioni e un’idonea preparazione del personale penitenziario unita ad offerte trattamentali comunque adeguate al tipo di personalità.
Dal tendenziale superamento dei circuiti discende anche l’inopportunità di un’ulteriore differenziazione dei detenuti all’interno del circuito di ‘media sicurezza’ attraverso la creazione di una custodia ‘chiusa’.
Un nuovo modello di detenzione impone di affrontare infine il tema della maggiore responsabilizzazione del detenuto attraverso processi di graduale autonomizzazione, di composizione dei conflitti, nuove forme di rappresentanza, interventi sul procedimento disciplinare e forti investimenti culturali anche sul versante del linguaggio.
Infine, per quanto attiene al circuito differenziato dell’art. 41 bis o.p., le proposte normative sono dettate dalla necessità di adeguare il regime, ferma restando la necessità di un suo mantenimento, ai parametri costituzionali ed europei con particolare riferimento all’eliminazione delle restrizioni meramente vessatorie e non strettamente necessarie al raggiungimento degli obiettivi di prevenzione ed il ripristino della giurisdizione naturale antecedente alla riforma del 2009.

 

Obiettivi

  1. Verificare il modello della vigilanza dinamica e la sua concreta attuazione, suggerendo possibili correttivi.
  2. Analizzare i modi in cui è organizzata la detenzione nella “quotidianità”, valutando l’ipotesi che in base a tale connotato possa essere configurata l’offerta trattamentale.
  3. Valutare le concrete modalità di vita intra moenia, proponendo interventi diretti a favorire la responsabilizzazione dei detenuti nella quotidianità detentiva.
  4. Suggerire interventi idonei a realizzare una migliore razionalizzazione dei circuiti penitenziari, anche al fine di assicurare nella misura più ampia possibile il rispetto del principio di territorialità e a perfezionare il modello della sorveglianza dinamica.
  5. Esaminare l’attuale situazione dei circuiti di massima sicurezza e della concreta applicazione del regime speciale di cui all’art. 41-bis ord. penit., formulando proposte organizzative ed, eventualmente, di modifica normativa.
  6. Per quanto concerne, in particolare, i circuiti di alta sicurezza, sarebbe opportuno dedicare un’attenzione particolare al funzionamento dei meccanismi di “classificazione” e “declassificazione”.

 

TAVOLO 3

  1. La questione della detenzione femminile non può esaurirsi nell’analisi della maternità in carcere. In particolare appare essenziale la questione (generale) della vita in carcere, il problema della formazione professionale, della territorialità della pena, della salute fisica e psichica, dell’affettività e della sessualità, dell’istruzione, delle attività ricreative e sportive. È indispensabile superare l’interpretazione del trattamento come “cura” o “correzione” che lo mette nei binari scivolosi e pericolosi di un paradigma medico-terapeutico. Si ritiene infine importante sottolineare l’esigenza di una consistente decarcerizzazione, la quale, per le donne e non solo, non può che partire da una forte depenalizzazione, nonché dalla previsione di pene alternative al carcere oltre che, ovviamente, da un molto maggior uso delle misure alternative.

Sintesi delle proposte

  • Costituzione presso il DAP di un Ufficio Detenute di pari grado e rilievo dell’Ufficio Detenuti
  • Standard minimi di ogni reparto nido
  • ICAM: il Provveditore regionale dell’A.P. deve poter disporre il trasferimento in ICAM della madre nelle more della decisione dell’autorità giudiziaria competente o del Tribunale di sorveglianza
  • Detenzione domiciliare: la non esistenza di un domicilio ritenuto “sicuro” non deve impedire questa misura. E’ obbligo dell’istituzione pubblica reperirla, soprattutto nel caso delle detenute madri. Si possono per esempio prevedere collocamenti in comunità che già ospitano madri con bambini. Non si deve escludere la possibilità di domiciliazione presso i campi rom
  • Maggiore applicazione dell’art. 21bis O.P. (assistenza all’esterno di figli minori)
  • Ampliamento art. 30 O.P. secondo comma affinché il magistrato di sorveglianza possa concedere permessi anche per momenti fondamentali della vita dei figli (compleanni, battesimi, ecc.).  L’art. 30 O.P. potrebbe disciplinare le situazioni caratterizzate da urgenza e temporaneità, mentre l’art. 21 ter potrebbe disciplinare le situazioni croniche (per es., handicap)
  • Esplicita previsione normativa di diritto di accompagnamento dei figli non solo in casi medici urgenti ma anche per visite mediche di routine
  • Prevedere normativamente la partecipazione delle donne detenute in sezioni di carceri a prevalenza maschile alle attività educative, ricreative, sportive, ecc. disposte per i maschi
  • Medicina di genere e convenzioni con consultori di zona e case antiviolenza. Educazione sessuale e sanitaria specifica (regole di Bangkok). Prevenzione con screening periodici di malattie ginecologiche
  • Istituzione di commissioni di detenute per la cogestione delle attività educative, lavorative, ricreative, sportive, ecc.
  • Previsione di luoghi adatti all’esercizio dell’affettività e della sessualità, dentro o fuori le mura del carcere
  • Per le detenute non sottoposte a censura sulla corrispondenza: possibilità di comunicare telefonicamente senza limiti di tempo, libero accesso alla posta elettronica, libero accesso a internet e skype.
  • Incremento di corsi professionali qualificanti e non solo stereotipicamente “femminili”
  • Formazione professionale specifica del personale di vigilanza.

Obiettivi

  1. Detenzione femminile
  2. Miglioramento situazione madri e bambini
  3. Salute fisica e psichica
  4. Miglioramento rapporti familiari
  5. Miglioramento vita quotidiana

TAVOLO 4

Il Tavolo concorda che le problematiche riferibili all’area tematica assegnata hanno una pregnanza di ordine generale e non solo tecnico specifico. Ritiene infatti che la gestione normativa e operativa di queste tematiche sia un ologramma della gestione che la Società è in grado di sviluppare sulla tematica delle vulnerabilità, delle dipendenze, della sofferenza distruttiva. Pertanto le proposte operative sottolineano in particolare la necessità di investire tempo e risorse per la costruzione di una visione sociale condivisa, attraverso processi culturali e formativi, compresa la ricerca e la sperimentazione. Vengono proposti quindi luoghi e tempi di collegamento, di elaborazione e di coordinamento, interdisciplinari e interistituzionali, finalizzati allo scambio e alla permeabilità delle diverse prospettive di intervento. Si sottolinea soprattutto la necessità di elaborare, attraverso un processo di condivisione tra Giustizia, Sanità, Servizi Sociali, Volontariato e Terzo Settore, linee guida, protocolli, accordi che riformino la cultura degli Operatori e delle Istituzioni, base fondamentale per qualsiasi programma di riforma legislativa.
Viene proposta, coerentemente, la previsione di risorse comuni, anche finanziarie, interministeriali e tra Enti diversi, finalizzate alla gestione pratica dei casi multiproblematici da parte dei diversi attori di volta in volta coinvolti , laddove un approccio semplicemente interdisciplinare ma non integrato porta alla paralisi operativa con perdita di efficienza degli interventi, conseguenze negative per la salute individuale, aumento delle recidive sia della patologia sia degli atti criminali, peggioramento dei costi e degli sprechi sociali. Vengono proposte misure per la prevenzione dei danni alla salute in carcere, in particolare per la riduzione dei rischi di overdose e di contagio per le patologie infettive e a trasmissione sessuale, recependo le indicazioni internazionali e riconoscendo pragmaticamente la realtà delle carceri italiani. Vengono proposte azioni per la prevenzione del suicidio in carcere, per l’accompagnamento in fase di dimissione dei soggetti vulnerabili, per il reinserimento sociale degli internati. Vengono proposte modifiche della normativa in tema di dipendenza, considerata comportamento penalmente rilevante in sé, e in tema di misure alternative per gli stati di dipendenza, che devono essere “automatiche” e non a richiesta del soggetto, in quanto tutelanti un diritto alla salute e interesse della collettività.

Obiettivi

  1. Concordare e recepire i criteri diagnostici e il processo per certificare i casi di dipendenza e per discriminare il problema di salute dal comportamento deviante
  2. Rivedere i dispositivi di Legge e di bilancio al fine di prevedere l’offerta “automatica” di cure al soggetto con patologie da dipendenza
  3. Ridurre il volume degli ingressi in carcere in violazione della legislazione antidroga
  4. Allineare le alternative terapeutiche agli interventi sul territorio, seguendo le innovazioni in corso nei Servizi dipendenze, che vanno nella direzione di uno sviluppo della riduzione del danno e di una sempre maggiore flessibilità e personalizzazione degli interventi
  5. Incrementare la prevenzione in carcere, dando priorità alla prevenzione delle overdosi e dell’infezione da HIV, seguendo tutte le indicazioni internazionali
  6. Elaborare un Piano Nazionale per la prevenzione del suicidio in carcere
  7. Predisporre procedure di dimissione atte a preparare la persona al rientro nella vita libera
  8. Facilitare il reinserimento sociale degli internati imputabili.

 

TAVOLO 5

Proposta di garantire un’autonoma regolamentazione alla mediazione nell’ambito del processo di cognizione

Proposta di elaborare una normativa diretta a costituire, all’interno di ogni tribunale per i minorenni, un apposito ufficio per le vittime del reato oppure finalizzata a consentire, sempre a favore della vittima, una sorta di “accompagnamento informato” a cura dei servizi minorili dell’Amministrazione della giustizia.

Individuazione di sanzioni di carattere reintegrativo → si propone di introdurre una sanzione analoga a quella prevista nel d.d.l. n. 1352 il cui art.20 è dedicato alle «Sanzioni consistenti nello svolgimento di attività riparatorie o di pubblica utilità».
Punto del progetto di legge delega dove viene sancita l’incompatibilità dei giudici della cognizione ad emettere decisioni riservate alla magistratura di sorveglianza → Si propone di sopprimere tale previsione.
Punto del progetto di legge-delega relativo all’organizzazione degli istituti penali per minorenni

  1. Si propone una rigorosa formulazione del principio di territorialità dell’esecuzione della pena, che deve potere essere derogato solo previa autorizzazione del giudice;
  2. Si propone che il legislatore ricorra ad un parametro numerico per stabilire la ridotta capienza degli istituti penali minorili (non più di 10/15 posti).

Punti del progetto di legge delega concernenti le misure alternative alla detenzione → si propone sia l’eliminazione dei requisiti di carattere temporale, la cui mancata osservanza determina l’inammissibilità della richiesta del condannato, sia la rimozione di tutti gli automatismi previsti dalla legge n. 354/1975, che precludono ai giudici di sorveglianza di entrare nel merito della richiesta.
Punto del progetto di legge delega relativo al rafforzamento dei contatti con il mondo esterno:

  1. Si propone che venga introdotto dal legislatore un nuovo tipo di permesso trattamentale, che si aggiunga al permesso premio disciplinato dall’art. 30-ter ord. penit. e che possa essere fruito dal condannato anche in assenza di riferimenti familiari nel territorio nazionale;
  2. Si propone che il legislatore predisponga una normativa che garantisca l’effettuazione di almeno otto colloqui mensili, introducendo nel contempo la regola secondo cui i permessi di colloquio vanno concessi a tutte le persone che hanno un accertato legame affettivo col detenuto.

Regime carcerario e regolamentazione dell’apparato disciplinare → Si propone che il legislatore tenga presenti i seguenti criteri:

  1. Riservare le sanzioni disciplinari a condotte oggettivamente gravi ed introdurre sanzioni ispirate ad un modello di tipo educativo;
  2. Stabilire che la contestazione dell’addebito sia tempestiva e che venga formulata tenendo conto della madre lingua e del livello culturale dell’incolpato;
  3. Prevedere che il consiglio di disciplina sia composto dal direttore e da due educatori; d) prevedere che il controllo del magistrato riguardo alla sanzione inflitta possa riguardare anche il merito.

La previsione della mediazione nella fase esecutiva del processo penale minorile → Si propone che il legislatore si adoperi per garantire l’operatività della mediazione nella fase esecutiva del processo penale minorile, ricollegando al suo felice esito un’anticipazione dei tempi di accesso alle misure extramurarie.

Trattamento dei minorenni inseriti in contesti di criminalità organizzata

  1. si propone di introdurre una previsione legislativa che autorizzi a disattendere il principio di territorialità dell’esecuzione della pena;
  2. si propone che venga legislativamente prevista una osservazione approfondita della personalità, caratterizzata dalla presenza nell’équipe di specialisti in grado di fornire
  3. sostegno psicologico e di facilitare l’elaborazione di nuovi modelli esistenziali

 

Obiettivi

  1. Offrire un contributo di studio a sostegno dell’iniziativa legislativa di armonizzazione delle previsioni contenute nella direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio dell’Unione Europea del 25 ottobre 2012 con la legge processuale minorile
  2. Individuazione di modelli sanzionatori di carattere reintegrativo – e non afflittivo – nella comunità e per la comunità, in grado di consentire al giovane in conflitto con la legge di partecipare, individualmente o in gruppo, a programmi realizzati in accordo con gli enti locali, il volontariato e il privato sociale già presenti in un determinato territorio, che contribuiscano a cambiare da un lato la visione del reato commesso, dall’altro lo sguardo della comunità nei confronti del reo
  3. Sostenere la necessaria elaborazione dell’ordinamento penitenziario minorile
  4. Promuovere la previsione e regolamentazione della mediazione penale minorile nella fase dell’esecuzione della pena
  5. Analizzare e proporre modelli di trattamento di minorenni e giovani adulti inseriti in contesti di criminalità organizzata.

 

 

 

 

 

 

 

TAVOLO 6

ll Tavolo si è occupato dei problemi legati al riconoscimento e all’esercizio del diritto all’affettività del detenuto, con particolare riguardo alle provvidenze necessarie per compensare la insufficiente o mancata realizzazione del principio di territorializzazione della pena.
Speciale attenzione è stata dedicata alla relazione tra figli minori di età e genitore detenuto. Si sono presi in considerazione, sotto il profilo del diritto all’affettività, anche quei detenuti che, per la loro pericolosità penitenziaria, sono sottoposti al regime di cui all’art. 41-bis ord. penit. o si trovano in un circuito carcerario di alta sicurezza.
A questo proposito, i componenti del tavolo, che considerano il diritto all’affettività come un diritto umano fondamentale, hanno convenuto che tale diritto – a legislazione vigente – non può essere garantito a tutti i detenuti fino a che il legislatore non interverrà, riformandole, sulle norme dell’ordinamento penitenziario che escludono dai benefici alcune categorie di detenuti o che prevedono per essi il regime speciale di detenzione di cui all’art. 41-bis (oggetto della tematica affrontata dal Tavolo 2 – Vita detentiva. Responsabilizzazione del detenuto, circuiti e sicurezza) E’ stato affrontato il problema di come assicurare all’interno del carcere uno spazio e un tempo in cui la persona detenuta possa vivere la propria sessualità.
Sulla TERRITORIALIZZAZIONE DELLA PENA il Tavolo ha proposto modifiche normative compensative per i detenuti assegnati in istituti lontani dal luogo ove vivono i propri familiari. In particolare, l’assegnazione periodica della durata di un mese in un istituto della regione ove vivono i familiari e l’accesso facilitato ai colloqui audio/video.

Riguardo ai PERMESSI il Tavolo ha proposto modifiche normative prevedendo oltre ai permessi già concessi per eventi familiari luttuosi o di particolare gravità, la concessione di permessi anche nei casi di “particolare rilevanza” per la famiglia del detenuto; l’introduzione di una nuova fattispecie di permesso definito “permesso di affettività”.

Riguardo ai COLLOQUI il Tavolo ha proposto modifiche normative che prevedono l’eliminazione del diverso ridotto numero di colloqui e telefonate per i detenuti imputati e condannati ex art. 4-bis “per i quali si applichi il divieto di benefici”.

Per i COLLOQUI INTIMI il Tavolo ha proposto modifiche normative volte ad introdurre il nuovo istituto giuridico della “visita”, che si distingue dal “colloquio”, già previsto dalla normativa, poiché garantisce al detenuto incontri privi del controllo visivo e/o auditivo da parte del personale di sorveglianza.

In tema di TELEFONATE E CORRISPONDENZA il Tavolo ha proposto modifiche normative che aumentano la durata delle telefonate da dieci a venti minuti a settimana anche per i detenuti imputati e condannati ex art. 4-bis prevedendone anche l’utilizzo frazionato in più giorni consentono i collegamenti audiovisivi con tecnologia digitale. Il tavolo ha inoltre espresso la raccomandazione di estendere l’uso della posta elettronica in partenza e in arrivo.

In particolare, sui DIRITTI DEI MINORI, oltre alle proposte di modifica normativa contenute nei punti precedenti, il Tavolo ha formulato due raccomandazioni che prevedono

  1. l’applicazione, la stabilizzazione e l’estensione a tutti gli istituti penitenziari della “Carta dei diritti dei figli di genitori detenuti”
  2. l’incentivazione della diffusione delle “case famiglia protette” realizzate per evitare categoricamente la permanenza in carcere dei bambini con le loro madri detenute.

 

Infine, riguardo ai RAPPORTI CON GLI ENTI LOCALI, IL MONDO ESTERNO, IL VOLONTARIATO, il Tavolo ha formulato la raccomandazione di conferire ai Direttori degli Istituti penitenziari maggiore possibilità di iniziativa nei rapporti con gli Enti locali, la comunità esterna e il volontariato per aiutare quei legami affettivi ritenuti una leva potentissima per i percorsi di rieducazione e di cambiamento.

 

Obiettivi

  1. Assicurare la vicinanza territoriale dei detenuti ai propri familiari
  2. Umanizzare gli incontri dei detenuti con le persone (familiari e non) ammesse ai colloqui
  3. Consentire un maggiore e più agevole uso dei colloqui e delle visite, dei permessi, delle telefonate, delle videochiamate e della corrispondenza
  4. Assicurare il diritto alla sessualità e, comunque, visite prolungate senza controllo visivo e/o auditivo con i familiari e le persone anche minori ammesse ai colloqui
  5. Assicurare i diritti dei minori nel rapporto con i propri genitori detenuti o arrestati
  6. Agevolare, intensificandoli, i rapporti con il mondo esterno, gli enti locali, il volontariato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

TAVOLO 7

I detenuti stranieri in Italia (al 30 ottobre 2015) sono 17.330: il 33% del totale. Il triplo rispetto alla fine degli anni ’80 (dopo che, nel 2007, avevano sfiorato il 50% del totale).
Da queste cifre emerge la vastità del tema Stranieri ed esecuzione penale. Dalle caratteristiche che presentano questi detenuti (difficoltà linguistiche; assenza, nella maggior parte dei casi, di legami con la famiglia e con ambienti esterni al carcere) si comprende perché tutti gli aspetti critici normalmente presenti in carcere siano, per gli stranieri, amplificati. Per questo, nell’essere stranieri in carcere c’è una peculiarità: la maggiore difficoltà a vedere applicati gli elementi del trattamento e le regole previste da un ordinamento penitenziario scritto in un’epoca in cui la quasi totalità dei detenuti era italiana. La scommessa delle Istituzioni deve essere di tendere ad applicare, anche nei confronti dei detenuti stranieri, i principi della riforma del ’75 e l’ispirazione dell’art. 27 Cost.  Dunque: individuare e analizzare gli ostacoli; tentare di individuare soluzioni; diffondere “le buone pratiche” a macchia di leopardo, nell’universo carcerario italiano, valorizzando il volontariato in carcere, diffondendo la presenza dei mediatori culturali come parte integrante dell’Amministrazione, mirando a consolidare e ampliare i corsi di alfabetizzazione (già ampiamente presenti); estendendo il lavoro interno; utilizzando, con la maggior ampiezza possibile e usufruendo dei nuovi mezzi tecnici (nel rispetto delle esigenze di sicurezza), i colloqui telefonici con i familiari; stabilendo, in collaborazione con le istituzioni locali, capacità di accoglienza esterna al carcere che consentano l’applicazione, anche agli stranieri, di misure alternative al carcere. Ma anche applicando, più incisivamente e con saggezza, gli strumenti legislativi che consentono un’ulteriore diminuzione del sovraffollamento carcerario: l’espulsione come sanzione sostitutiva e alternativa alla detenzione (art.16 d.lgs. 286/98); il trasferimento al Paese di origine per l’esecuzione della pena (convenzione di Strasburgo del 1983 e Decisione Quadro 2008/909/GAI).

Obiettivi

  1. Analizzare la attuale presenza e caratteristiche dei detenuti stranieri, per poterne individuare i bisogni relativamente alla partecipazione alla vita detentiva e al trattamento
  2. Costruire un percorso che consenta a coloro che lo desiderano di non rimanere in Italia e invece consentire a coloro che intendono reinserirsi nel nostro paese di farlo con le medesime opportunità concesse ai cittadini italiani
  3. Discutere la disciplina giuridica, il percorso formativo e le modalità di impiego dei mediatori culturali e istituire l’Albo dei singoli professionisti e l’Albo delle associazioni di mediazione interculturale con requisiti certi e omogenei
  4. Armonizzare le procedure previste per i cittadini stranieri che entrano in contatto con il sistema penale con le politiche generali dell’immigrazione con la finalità di agevolare il loro reinserimento sociale:
    • in Italia costruendo percorsi di accoglienza-integrazione condivisi con le realtà locali (istituzionali, economiche e sociali)
    • nel paese di origine rafforzando i legami di collaborazione con quei Paesi, anche mediante accordi diplomatici e contatti con agenzie e associazioni competenti.
  5. Sviluppare protocolli per il superamento delle criticità derivanti dai frequenti trasferimenti cui sono sottoposti i detenuti stranieri che non effettuano colloqui
  6. Facilitare i rapporti con i consolati e le ambasciate dei paesi di provenienza, e con le famiglie nei paesi di origine
  7. Individuare ostacoli e relative proposte che permettano ai detenuti stranieri di usufruire dei diritti previsti dall’ord.penit. concessi ai detenuti italiani e di accedere ai percorsi trattamentali e di risocializzazione facilitando anche la diffusione e la conoscenza della Carta dei diritti e doveri dei detenuti e degli internati del 2012

TAVOLO 8

Le proposte contenute nella Prima parte hanno l’obiettivo di modificare la normativa relativa al lavoro dei detenuti adeguandola agli standard internazionali suggeriti dal Consiglio d’Europa e dalle Nazioni Unite e quello di riportare alla legalità il sistema delle retribuzioni, riducendo il contenzioso. Non comportano necessariamente un aumento della spesa attualmente stanziata per il lavoro penitenziario e consentono di mantenere l’attuale tasso di occupazione interna. Inoltre, disegnano un quadro giuridico appropriato per la sperimentazione di progetti innovativi per il rilancio del lavoro penitenziario che verranno presentati nella terza parte.

Nella Seconda parte è formulata la proposta dello scambio lavoro/libertà in alternativa allo scambio lavoro/retribuzione.
Sulla base delle considerazioni svolte nell’introduzione non è configurabile alcuna ipotesi di lavoro gratuito dei detenuti, poiché ciò violerebbe i principi costituzionali sul diritto alla retribuzione (art. 36) e l’art. 4 della Convenzione EDU così come interpretato dalla Corte Edu. Secondo una recente sentenza della Corte Edu (nel caso Floroiu v. Romania – n. 15303/10 del 12 marzo 2013), tuttavia, il sinallagma tipico del rapporto di lavoro (prestazione lavorativa/retribuzione) è rispettato anche quando in luogo della retribuzione viene previsto il beneficio di uno sconto di pena.
Si tratta di un’ipotesi che suscita perplessità – anche tra i componenti il Tavolo, qualcuno dei quali parla di perplessità addirittura «fortissime», rilevando come lo scambio lavoro/riduzione della pena è improprio, innaturale e tale da mortificare in profondità (non solo in termini teorici ma anche pratici) il valore educativo/rieducativo del lavoro, oltre a creare una grande disuguaglianza tra chi potendo lavorare avrebbe diritto a questo sconto di pena e chi, non potendo lavorare, non ne può beneficiare – ma che merita, comunque, di essere approfondita in quanto potrebbe garantire una maggior diffusione del lavoro in carcere anche in un contesto di risorse scarse com’è quello italiano.
Ovviamente, l’istituto andrebbe configurato in modo da non far venir meno le garanzie essenziali poste dalla Costituzione e dai testi internazionali a tutela dei diritti dei detenuti lavoratori, prima fra tutti l’assoluta volontarietà nell’accesso.

Nella Terza parte si individuano alcune delle possibili ragioni del mancato sviluppo del lavoro carcerario. E’ opinione dei componenti del Tavolo che la formazione dei detenuti, la ricerca di attività lavorative da svolgere all’interno del carcere, la loro organizzazione, l’assistenza dei detenuti rimessi in libertà nel reinserimento lavorativo siano attività che presuppongono attitudini e professionalità specifiche, differenti da quelle tipiche dell’Amministrazione penitenziaria. Si prospetta, pertanto, l’istituzione di un apposito organismo/ente cui affidare l’esercizio e la gestione di tali attività.

Nella Quarta parte sono indicati alcuni interventi che potrebbero rilevarsi comunque utili per promuovere la qualità e la quantità della formazione e del lavoro negli istituti penitenziari.

Obiettivi

Individuazione delle misure necessarie per ovviare alle attuali gravi insufficienze normative e organizzative e per predisporre un complessivo piano per il potenziamento delle attività lavorative durante l’esecuzione penale.

 

 

 

TAVOLO 9

Il perimetro tematico della discussione ha tenuto insieme tre aree dialoganti, ma differenti: l’istruzione ai diversi livelli, la cultura nel senso più largo e nelle sue forme di fruizione e di produzione, lo sport quale attività strutturante un rapporto positivo con la propria fisicità e quale elemento di espressione ludica.

Queste dimensioni e queste aree di strutturazione del sé individuale convergono verso l’obiettivo comune di ridare significato al tempo della detenzione, liberandolo dalla connotazione di tempo sottratto alla vita o di tempo di attesa, per farne occasione per l’acquisizione, quantunque limitata, di qualche elemento positivo per la propria soggettività e per l’avvio di un percorso di reinserimento sociale. Se, infatti, il termine ‘rieducazione’ è declinato non come processo individuale di revisione etica bensì come capacità di riannodare positivamente il filo di connessione al tessuto sociale che il reato ha implicitamente reciso – ed è questa l’interpretazione che non pone tale termine in contrasto con il rispetto dell’individualità del soggetto –, allora tale processo può realizzarsi solo attraverso un investimento di significatività del tempo recluso in cui molti siano gli attori chiamati a dare il proprio apporto e molte e variegate siano le offerte di ri/costruzione di una propria autonomia culturale.

Il tema affidato al Tavolo ha così la propria centralità sul valore che la cultura e l’offerta di istruzione e di possibilità di espressione di vario tipo hanno all’interno del percorso di rieducazione sociale del detenuto per la costruzione di una diversa opportunità individuale nel suo ritorno alla quotidianità esterna.

Obiettivi

  1. Analizzare l’attuale normativa in relazione all’istruzione degli adulti (d.p.r. 263/12, Protocollo di intesa fra MIUR e Ministero Giustizia del 2012) e delle prassi attuative nelle carceri italiane
  2. Analizzare le criticità presenti attualmente nel sistema scolastico penitenziario (carenza di personale, mancanza o inidoneità di aule, incompatibilità oraria fra scuola e lavoro, trasferimenti dei detenuti, composizione linguisticamente e culturalmente eterogenea delle classi); enucleare le difficoltà delle persone in esecuzione penale esterna a fruire del diritto all’istruzione
  3. Individuare un modello scolare basilare, funzionale ai bisogni formativi della persona, che offra una risposta sia ai bisogni di istruzione primari, ivi compresa la conoscenza della lingua italiana; individuare percorsi formativi secondari da armonizzare con esperienze di formazione professionale e di avvio al lavoro; individuare opportunità di partecipazione degli studenti detenuti agli organi collegiali della scuola
  4. Effettuare una ricognizione delle esperienze dei Poli Universitari e analisi dei Protocolli fra Atenei e Istituti Penitenziari. Individuare le buone prassi esistenti e le proposte operative volte ad estendere ad un ampio numero di Istituti penitenziari la possibilità di accesso agli studi universitari. Valutare eventuali azioni volte ad agevolare la prosecuzione del percorso universitario anche a seguito dell’espiazione della pena
  5. Eseguire una ricognizione sulla presenza e fruibilità di biblioteche, locali ricreativi, per arti pittoriche, musica, artigianato, teatro, attività sportive all’interno degli istituti penitenziari; indirizzo sull’adeguamento e/o edificazione di spazi dedicati. Ciò anche in riferimento alle condizioni di sicurezza per l’accesso del pubblico esterno
  6. Curare la effettiva fruibilità di percorsi culturali e di istruzione da parte di detenuti e di persone in esecuzione penale esterna presso il proprio domicilio, sia utilizzando piattaforme telematiche, sia estendendo il campo di applicazione dei permessi ex. art 30 O.P. ad esami di Stato o di Laurea
  7. Verificare l’attuazione delle circolari relative alla formulazione dei Piani di Istituto (in particolare i progetti pedagogici) e alla sorveglianza dinamica, individuando le buone prassi e valutando le motivazioni di eventuali criticità, al fine di promuovere in ogni Istituto penitenziario un piano di attività efficiente e utile alla promozione individuale e sociale di ogni persona
  8. Effettuare una ricognizione delle più diffuse attività e sui progetti pilota che coinvolgono le persone detenute riguardo a teatro, ripresa video-documentaria e di finzione, espressività del corpo, espressione musicale in genere (canto ed esecuzione), scrittura creativa e giornalismo, arti figurative, sport in genere con particolare riferimento alle attività sportive di gruppo. Ricognizione sulle fonti e metodologie di finanziamento delle attività, anche in relazione alla necessaria continuità dei progetti nel lungo periodo ed al rigore e trasparenza nell’impiego dei fondi
  9. Definire gli standard minimi di competenza e formazione specifica degli operatori, tali da garantire la migliore relazione con la popolazione detenuta coinvolta nelle attività ed il miglior esito delle stesse. Valutare l’opportunità di individuare linee guida e progetti di formazione per formatori nel contesto penitenziario nei campi della cultura, dell’arte e dello sport. Focus sulla centralità della relazione fra risultati attesi e risultati conseguiti da ciascuno dei progetti ammessi ed eventualmente finanziati direttamente dall’Amministrazione Penitenziaria
  10. Definire il ruolo del volontariato culturale, artistico e sportivo nel contesto delle attività trattamentali, individuando più precisamente i diritti e i doveri degli operatori volontari in rapporto alle diverse componenti dell’Istituzione penitenziaria
  11. Valorizzare, ai fini della valutazione del percorso penitenziario, dei risultati espressivi, artistici e delle performance sportive conseguiti dai detenuti impegnati nelle attività, con particolare riferimento al valore del lavoro di gruppo. Evitare l’interruzione di tali percorsi a seguito dei trasferimenti delle persone detenute stabilmente impegnate in attività culturali, espressive, teatrali e sportive
  12. Verificare le differenti prassi seguite per l’accesso del pubblico esterno agli eventi culturali, di spettacolo e sportivi proposti all’interno dei penitenziari. Indicare soluzioni per standardizzazione delle pratiche volte a favorire la presenza di spettatori esterni (stante la rilevanza ai fini del compimento di ogni percorso espressivo)
  13. Valutare indicativamente le esperienze teatrali compiute in carcere, attraverso una complessiva mappatura di tali esperienze e rilevare gli esiti sul piano della riduzione del tasso di recidiva. Avviare la riflessione sull’opportunità di configurare il teatro come attività “istituzionalizzata” negli istituti di pena.

 

 

 

 

TAVOLO 10

Le numerosissime problematiche rilevate a seguito del passaggio della sanità penitenziaria al Servizio Sanitario Nazionale hanno costretto l’individuazione di alcuni ambiti sui quali concentrare l’attenzione.

Delle riflessioni del Tavolo sulle dette criticità si darà conto nella Relazione che accompagna le proposte.

Le proposte si sono concentrate in particolare:

  • sulla digitalizzazione dei diari clinici dei detenuti e creazione di sistemi per la gestione informatizzata del dati sanitari;
  • sull’implementazione della telemedicina negli istituti di pena;
  • sulla problematica della condivisione dei dati clinici tra personale sanitario e Amministrazione e sulla necessità assoluta di definire le modalità del trattamento dei dati sanitari relativi alle persone detenute nel senso di consentire, da un lato, la tutela del diritto alla riservatezza e, dall’altro, le esigenze di accesso ai medesimi dati da parte dell’Amministrazione penitenziaria;
  • sulla previsione di interventi normativi, in coerenza con la Delega, che consentano una più efficace tutela della salute del detenuto attraverso la previsione di nuove misure alternative alla detenzione per i portatori di problematiche psichiatriche e di patologie infettive; sulla previsione di un intervento sugli articoli 147 e 148 codice penale al fine di armonizzare la tutela prevista per i portatori di patologie fisiche e per i portatori di problematiche psichiatriche.

Obiettivi

Di seguito i soli obiettivi concretizzati in Proposte; si rinvia alla Relazione di accompagnamento per le riflessioni su altre criticità che meritano approfondimento, pur non prestandosi alla traduzione in proposte di intervento normativo.

  1. Analizzare, anche sulla base della documentazione fornita, le criticità dell’assistenza sanitaria intramuraria e di quella erogata nei luoghi esterni di cura e la preoccupante disomogeneità nell’attuazione della normativa di settore
  2. Individuare delle soluzioni praticabili per implementare sistemi di monitoraggio dei bisogni di salute (prevenzione, diagnosi, cura, riabilitazione) sulla base degli obiettivi generali di salute e dei livelli essenziali di assistenza e per programmare una spesa adeguata a garantire i livelli essenziali di assistenza
  3. Valutare le implicazioni di un passaggio di tutte le Regioni a un sistema integrato di cartelle cliniche digitali: vantaggi in termini di costi (tra cui sono da comprendersi i ritardi legati ai movimenti dei fascicoli cartacei, oltre a quelli monetari per la fotocopiatura e nei casi di danneggiamento o perdita); continuità della cura; ausilio per l’agevole rilevazione delle prevalenze patologiche
  4. Riflettere sulla possibile implementazione della dotazione strumentale dei presidi sanitari mediante l’utilizzo della telemedicina per l’assistenza specialistica, a partire dalle esperienze già maturate; riflettere su possibili alternative alla procedura di traduzione dei detenuti che necessitino di trattamenti diagnostici e/o terapeutici in luoghi esterni di cura, alla luce delle note difficoltà dell’organizzazione del suddetto trasporto
  5. Promuovere interventi normativi nel settore sanitario, in coerenza con la delega per la riforma del sistema dell’esecuzione penale
  6. Verificare le condizioni e dei limiti nei quali il rispetto della privacy può essere assicurato nel rapporto medico-paziente detenuto

TAVOLO 11

Il Tavolo è giunto a quattro proposte organiche che sono la miglior sintesi di un intenso dibattito e di uno sforzo di conciliazione tra posizioni, approcci culturali e professionalità differenti in tema di “misure di sicurezza”. Con riferimento, in particolare all’art. 7 della c.d. legge delega “penitenziaria” la discussione si è focalizzata su tre questioni principali:

  1. per quanto riguarda le misure di sicurezza per soggetti imputabili, la proposta prende le mosse dalla consapevolezza che il sistema attuale ha prodotto degenerazioni inaccettabili. La proposta intende superare l’esperienza delle case di lavoro. Si stabilisce poi che la misura di sicurezza si applichi solo in presenza di reati presupposti di rilevante gravità, nei casi in cui sussista il concreto pericolo della commissione di ulteriori gravi reati; si tratta di situazioni nelle quali appare evidente la necessità di una maggiore tutela della collettività. Attraverso questo filtro, viene inizialmente attivata una misura non detentiva consistente nella libertà vigilata a contenuto rivisitato (del tutto diversa da quella attuale in quanto ridisegnata e aperta ad ampie prospettive di personalizzazione), che non contenga inutili prescrizioni di tipo vessatorio e che preveda la possibilità di modulazione personalizzata attraverso un catalogo di prescrizioni adattabili alla situazione soggettiva ed oggettiva concreta. Solo in casi eccezionali, a seguito della continua reiterazione di gravi violazioni e secondo una rigida progressione contenitiva, è prevista la possibilità di sostituire la misura non detentiva con una misura contenitiva dapprima a contenuto domiciliare e poi detentivo, da declinarsi in ambito lavorativo e/o agricolo (l’esperienza delle colonie agricole non può essere certo paragonata a quella, molto più infelice, delle case lavoro), o in strutture per la semilibertà, da considerarsi quale extrema ratio e solo per periodi di tempo limitati.
  2. Per quanto riguarda le misure giudiziarie di cura e controllo per i “pazienti psichiatrici giudiziari”, la proposta muove dalla necessità di un più attento accertamento peritale sull’imputabili, dalla crisi del concetto di “pericolosità sociale”, dall’esigenza di disegnare misure che provvedano anzitutto ai bisogni terapeutici del paziente psichiatrico giudiziario e dalla necessità di rendere effettivo il principio di extrema ratio delle misure coercitive. Si prevedono in tale ottica tre aree distinte il trattamento del paziente psichiatrico giudiziario, differenziate per gravità del reato commesso, da cui discendono risposte trattamentali differenti, tutte improntate alle esigenze terapeutiche del paziente, denominate “misure giudiziarie di cura e controllo” (distinguibili tra il “ricovero in S.P.P.G. –Servizio Psichiatrico per Paziente Giudiziario e misure obbligatorie di cura e controllo). La proposta avanza soluzioni anche in materia di misure cautelari psichiatriche e di misure provvisorie di cura e controllo e propone una dettagliata riforma delle principali norme in materia (in particolare art.206 e 222 c.p. e 286 c.p.p.).
  3. Strettamente connessa con la proposta riguardante le misure giudiziarie di cura e controllo per i “pazienti psichiatrici giudiziari”, vi è quella di proporre un nuovo “ordinamento per S.P.P.G”, che non si limiti ad una mera riproposizione o rinvio all’Ordinamento penitenziario, ma che abbia una sua autonomia, che ne esalti la funzione sanitaria.
    Per quanto riguarda i c.d. gravi disturbi della personalità, si ritiene di doversi uniformare alla guideline secondo cui essi non rilevano ai fini dell’applicabilità degli artt. 88 e 89 c.p., fermo restando tuttavia che i medesimi devono assumere la connotazione di infermità giuridicamente rilevante allorché abbiano inciso in maniera significativa sul funzionamento dei meccanismi intellettivi o volitivi dell’autore di reato e il reato sia in connessione psicopatologica e funzionale con il disturbo grave. Deve essere attribuito al perito il compito di pronunciarsi in punto necessità di cura a elevata o attenuata intensità terapeutica mediante la formulazione di un quesito ad hoc, sui cui esatti termini v. infra, sub “Proposta 4”.

 

 

Obiettivi

  1. Analisi critica e propositiva dei criteri per l’applicabilità delle misure di sicurezza in fase esecutiva, nonché per la loro modifica e revoca, tenendo presente l’art. 6 co.1° lett. b del d.d.l. 2798, che prevede l’emanazione di una normativa delegata in tema di misure di sicurezza: «particolarmente in relazione ai presupposti di applicazione, anche con riferimento alle categorie dell’abitualità e della tendenza a delinquere […]». Eventuali proposte dirette ad annullare, o, quanto meno, a ridurre sensibilmente, lo scarto tra la cornice legislativa delle misure di sicurezza e la loro concreta applicazione
  2. Valutazione delle criticità inerenti al regime di internamento nelle residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza (REMS), caratterizzate da un modello organizzativo ad esclusiva gestione sanitaria. A tal fine andranno esaminate le soluzioni previste nell’allegato A) del decreto 1° ottobre 2012, emanato dal Ministro della salute di concerto con il Ministro della giustizia («Requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi delle strutture residenziali destinate ad accogliere le persone cui sono applicate le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia»), nonché i contenuti dell’Accordo tra la Conferenza Stato-Regioni e il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria del 26 febbraio 2015. Proposta di correttivi qualora venisse ritenuto effettivo il rischio di una possibile collisione tra l’ubicazione delle REMS sul territorio nazionale, tenuto conto del loro bacino di utenza, e il principio di territorialità nell’esecuzione della misura di sicurezza psichiatrica
  3. Eventuale indicazione di forme di cooperazione tra l’amministrazione penitenziaria e quella sanitaria, posto che la prima manterrà talune funzioni – quali, ad esempio, la competenza in tema di trasferimento degli internati – relativamente ai soggetti ospitati nelle REMS
  4. Individuazione delle necessarie modifiche alla legge penitenziaria e al relativo regolamento di esecuzione, conseguenti alla chiusura degli OPG e all’apertura delle REMS. Proposte sulle connotazioni che dovranno avere i “repartini psichiatrici” allestiti all’interno delle singole strutture carcerarie, onde evitare che, anche dopo la creazione e l’avviato funzionamento delle REMS, si riproduca il grave inconveniente del sofferente psichico ospitato in una struttura che la psichiatria considera inidonea rispetto alle sue esigenze terapeutiche
  5. Eventuale configurazione, in chiave di proposta, di una o più misure di sicurezza non detentive a carattere terapeutico, con individuazione dei presupposti applicativi e delle relative modalità esecutive
  6. Individuazione delle modalità idonee a consapevolizzare l’opinione pubblica sull’opportunità di contrastare la pericolosità sociale del malato di mente-autore di reato, sottoponendolo alle più adeguate terapie. Terapie che, per garantire dei risultati, devono essere praticate, in conformità alle recenti indicazioni del legislatore, non più in strutture sostanzialmente carcerarie (OPG), ma in apposite residenze completamente “sanitarizzate” (REMS).

 

 

 

 

 

TAVOLO 12

Le sanzioni di comunità (cfr. ord.penit., l.199/2010, l.67/2014, ddl 2678) hanno determinato un quadro complesso e in più occasioni è stata sollecitata un’azione di sistematizzazione al fine di conferire organicità al sistema, tenendo conto anche degli impegni assunti in Europa.

Vengono proposti tre interventi legislativi di riforma del sistema delle misure alternative alla detenzione (rinominate misure penali di comunità) secondo una prospettiva che vada oltre il carcere come unico modello di risposta sanzionatoria:

  1. modifica del capo VI della legge 354/1975 (revisione dei contenuti e dei criteri di accesso delle singole misure alternative) ed introduzione di un capo VI-bis dedicato alla competenza e ai profili processuali comuni a tutte le misure;
  2. modifiche alla legge 689/1981 con l’introduzione del lavoro di pubblica utilità come sanzione penale di comunità e abrogazione delle norme relative alla semidetenzione;
  3. introduzione di un procedimento per la concessione delle misure penali di comunità con la sentenza di condanna in primo grado e revisione della disciplina di accesso dalla libertà ex art. 656 c.p.p. con la previsione di una presunzione legale di idoneità delle misure penali di comunità per l’esecuzione di condanne contenute nei quattro anni di reclusione.

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Obiettivi

  1. Incrementare, nell’opinione pubblica, la consapevolezza che il sistema delle pene non detentive tutela la sicurezza delle comunità, facendo diminuire il rischio di recidiva. Opportunità di documentare tale importante risultato con dati statistici
  2. Valutare la possibilità di un sistema di sanzioni di comunità correlate alle esigenze del territorio, che sia espressione di un’effettiva e tempestiva presa in carico congiunta dei servizi ed enti territoriali con il coinvolgimento di organismi privati, imprese e volontariato
  3. Ipotizzare i contenuti normativi idonei ad attuare il criterio direttivo della legge delega per la riforma dell’ordinamento penitenziario che prevede la “revisione dei presupposti di accesso alle misure alternative, sia con riferimento ai presupposti soggettivi, sia con riferimento ai limiti di pena, al fine di facilitare il ricorso alle stesse” (art. 26, lett. b)
  4. Prevedere la realizzazione di infrastrutture e assetti organizzativi adeguatamente dimensionati ed integrati di professionalità che rafforzino la concreta azione di controllo e sostegno nella gestione delle sanzioni in comunità
  5. Valutare l’opportunità di percorsi rieducativi, specifici e mirati, da proporre alla persona sottoposta a sanzione di comunità (educazione alla legalità, propedeutica al lavoro, valore delle diversità)
  6. Esprimere opinioni sull’uso dei dispositivi elettronici di controllo, valutando se siano da ritenersi presìdi di intrinseca utilità, o se invece risultino utili solo se accompagnati da altre azioni orientate al reinserimento; valutare se il braccialetto debba essere applicato a tutte le persone cui viene irrogata una certa sanzione di comunità, oppure se questo si debba prevedere solo per pochi e motivati casi; valutare infine l’uso di dispositivi elettronici (braccialetti e altri dispositivi in uso in paesi europei), in relazione al rispetto dei diritti della persona.

 

TAVOLO 13

In relazione al tema assegnato il Tavolo 13 è parso indispensabile, in particolare:

  • riconoscere alla giustizia riparativa pari dignità rispetto all’individualizzazione del trattamento in modo da riequilibrare le posizioni di reo e vittima all’esito del processo penale;
  • inserire una norma generale nell’ordinamento penitenziario volta a consentire ai condannati e agli internati per tutti i tipi di reato, compresi quelli elencati all’art. 4-bis, l’accesso a programmi di giustizia riparativa in ogni fase dell’esecuzione.

E’ auspicabile che tale proposta si iscriva in un più generale contesto di riforma che promuova la possibilità di accedere alla giustizia riparativa in ogni stato e grado del procedimento, come richiesto dalla Direttiva 29/2012/UE.
Obiettivi

  1. Analizzare le esperienze di Restorative Justice dei principali Paesi europei ed extraeuropei che si sono dotati di programmi di giustizia riparativa e mediazione quanto a:
    • mappatura dei reati mediabili (ambito edittale vs. tipologia di illecito);
    • locus delle norme che consentono mediazione e riparazione;
    • effetti di mediazione e riparazione sull’esercizio dell’azione penale, sul processo e sulla esecuzione della pena.
      Le esperienze comparative sono analizzate in coordinamento con il Tavolo 14.
  2. Proporre modelli e metodologie di giustizia riparativa orientati alla vittima (elisione o attenuazione delle conseguenze del reato; eventuale risarcimento del danno; restituzioni) e/o alla collettività (prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità ovvero all’attività di volontariato di rilievo sociale), da inserire nei percorsi per il recupero dei condannati in esecuzione di pena intramuraria e in comunità e degli imputati ammessi alla prova ovvero quali condotte riparatorie ad efficacia estintiva del reato
  3. Coordinare il progetto di riforma di cui al disegno di legge n. 2798/2014 – che agli artt. 1 e 2 prevede l’introduzione agli artt. 162-ter e 649-bis condotte riparatorie come causa di estinzione del reato – con la disciplina della sospensione condizionale della pena ex l’art. 163 c.p.
  4. Dare forma e contenuto normativo alla “previsione di attività di giustizia riparativa e delle relative procedure, quali momenti qualificanti del percorso di recupero sociale sia in ambito intramurario sia nell’esecuzione delle misure alternative” di cui all’art. 26, lett. d del disegno di legge n. 2798/2014, coordinando la normativa con istituti già esistenti
  5. Prevedere per gli operatori che si occuperanno di giustizia riparativa e in particolare per i mediatori penali moduli di formazione specifica e criteri di accreditamento e di accesso ad un Albo dedicato, stante l’autonomia teorico-pratica della mediazione penale da quella civile e commerciale
  6. Promuovere, per magistrati e avvocati, percorsi di formazione alla giustizia riparativa e alla mediazione, con particolare attenzione al raccordo di queste ultime con il sistema penale-processuale

TAVOLO 14

L’ampiezza dei temi assegnati al Tavolo ha implicato in prima battuta un’opera di selezione degli argomenti da trattare. A questo fine, si è cercato di individuare, tra le tematiche oggetto della legge delega, quelle sulle quali un intervento riformatore appariva più urgente. Nell’elaborazione delle proposte ci si è ispirati ad un duplice criterio: da un lato, l’attenzione alle indicazioni provenienti dalle fonti internazionali (di hard e soft law) in materia sanzionatoria; dall’altro, lo studio delle esperienze e delle prassi ‘virtuose’ di ordinamenti vicini a quello italiano.

Quanto all’oggetto delle proposte, si sono tenuti in considerazione due piani diversi: quello delle misure alternative e quello dell’esecuzione intra-muraria. Sotto il primo profilo, tutti i membri del Tavolo si sono trovati concordi nel ritenere che l’orizzonte entro il quale occorre muoversi, in un’ottica di riforma del sistema sanzionatorio, è quello della riduzione del terreno oggi occupato dalla pena detentiva. Studi nazionali ed internazionali corroborano, infatti, l’assunto secondo cui tale pena è, tra tutte, quella economicamente più costosa ed assieme quella meno idonea a ridurre il rischio di recidiva dei condannati. Nell’auspicio di una riforma del sistema sanzionatorio che introduca, già a livello di pene principali, sanzioni non detentive, il Tavolo si è impegnato – nell’ambito del suo mandato – a formulare proposte per il potenziamento e il miglioramento delle misure alternative. In questo senso, sono state elaborate proposte finalizzate, da un lato, a garantire il contenimento del rischio di recidiva del condannato durante l’esecuzione della misura, e dall’altro a individualizzare il contenuto delle misure, al fine di impostare un percorso realmente risocializzativo e in grado di realizzare un’efficace funzione di prevenzione speciale nel lungo periodo.

Quanto invece al piano dell’esecuzione intramuraria, lo scopo che si è avuto di mira, sempre in ossequio alle indicazioni provenienti dalla normativa sovranazionale, è stato quello di garantire un’esecuzione rispettosa dei diritti fondamentali della persona, favorendo altresì, nella misura più ampia possibile, il mantenimento dei legami tra il detenuto e la società (in questo senso si vedano le proposte sull’introduzione delle visite familiari e sugli incontri di coppia, nonché sul trattamento delle detenute madri).

Il tutto nella consapevolezza che, paradossalmente, l’apertura del carcere all’esterno ‘aumenta la sicurezza’, riducendo il livello di recidiva dei condannati (così come confermato da svariate ricerche nazionali ed internazionali).

Obiettivi

  • sistema delle misure alternative alla detenzione e dei benefici penitenziari unitamente ai programmi di trattamento ed essi relativi
  • sistema delle misure di sicurezza e della cura del disagio psichico
  • condizioni di vita all’interno degli istituti penitenziari
  • tutela delle donne detenute
  • tutela delle detenute madri
  • tutela dei diritti dei detenuti stranieri
  • diritti garantiti durante l’esecuzione e modalità con le quali assicurarne l’effettività (con particolare riguardo alla materia della salute, del lavoro, dell’istruzione e della dimensione affettiva).

 

TAVOLO 15

Dal confronto tra i componenti del Tavolo e dai contributi pervenuti, emerge il bisogno di cambiamento intrapreso dall’intero Sistema dell’esecuzione penale anche con riferimento al personale penitenziario e alla formazione. Terreno comune è la complessità del sistema, dei bisogni e delle relazioni che esso quotidianamente esprime, anche in termini spesso conflittuali. La consapevolezza dell’attuale fase di resilienza del Sistema è stata la guida dei vari contributi, animati dall’obiettivo di migliorare la qualità dell’esecuzione penale anche ai fini della riduzione della recidiva. In tale contesto, da una parte emerge la proposta di semplificare la complessità dei bisogni e delle relazioni, spesso anche conflittuali, attraverso un modello organizzativo e operativo da costruire all’interno di un Corpo di Giustizia al servizio dell’intera Amministrazione di Giustizia, in sostituzione dell’attuale Corpo di Polizia penitenziaria.

Dall’altra, una proposta che, proprio partendo dalla complessità dei bisogni e delle relazioni tipiche di una Comunità civile, si muove per valorizzarle e renderle praticabili all’interno di un sistema che, attraverso la revisione degli attuali ordinamenti professionali, realizzi un nuovo modello organizzativo e di gestione che, mantenendo in equilibrio le aspettative sociali riferite alla sicurezza e al trattamento, sappia realizzare il principio della massima espansione dei diritti della persona in esecuzione penale interna ed esterna. Il malessere del personale e l’insoddisfazione professionale, di tutte le famiglie professionali nell’attuale modello, sono di ostacolo al percorso di cambiamento in atto nel sistema. Per tale ragione, i componenti del tavolo si sono soffermati a lungo su tale questione che ha avuto origine da due documenti iniziali, rappresentativi di due diverse vision. Entrambi si allegano, poiché rappresentano il punto di partenza del confronto tra i componenti del Tavolo stesso, arricchito dai collegamenti con gli obiettivi assegnati.

E’ utile aggiungere che la prima proposta richiede una modifica radicale della vigente normativa degli attuali ordinamenti professionali riferiti alla dirigenza penitenziaria, al Corpo di Polizia penitenziaria al Corpo degli Agenti di custodia, limitatamente agli ufficiali che permangono seppure ad esaurimento nell’attuale organizzazione di sistema, alla dirigenza di Area 1 e al personale amministrativo e tecnico (funzionari giurico-pedagogici, funzionari di servizio sociale, funzionari contabili, funzionari amministrativi, funzionari tecnici, ingegneri e architetti e personale inquadrato nelle aree 2^ e 1^ di comparto ). La seconda proposta richiede invece alcuni interventi di modifica dell’attuale ordinamento penitenziario, tali da consentire la revisione delle funzioni del direttore di Istituto e di Ufficio di esecuzione penale e l’istituzione della funzione di direttore di area, del trattamento, della sicurezza e dell’organizzazione. Una proposta che concretizza i presupposti di un nuovo modello organizzativo in grado di interpretare la complessità della quotidianità del sistema e realizzare, in modo più consapevole e determinato, il nuovo senso delle pene che si sta radicando nella cultura sociale e politica.

Obiettivi

  1. Revisione degli attuali ordinamenti professionali e delle relative funzioni nel vigente Sistema di esecuzione penale
  2. Revisione del modello formazione
  3. Rielaborazione di un modello organizzativo e gestionale che sia espressione di tali scelte, orientate verso la massima espansione della pena “socialmente utile”
  4. Costruzione di un modello di Comunità penitenziaria che sappia restituire valore all’autodeterminazione delle persone nell’ambito di una nuova dimensione di Spazio e di Tempo legittimamente fruibile dalle persone in esecuzione penale e da tutti gli attori del sistema.

TAVOLO 16

Il Tavolo ritiene di aver adempiuto al compito assegnato, individuando gli ostacoli normativi all’individualizzazione del trattamento rieducativo, tenendo ben presente la concreta possibilità riformatrice nel dibattito politico che vi sarà all’esito degli Stati Generali. Si è fatto riferimento al lavoro di chi precedentemente si è occupato dell’argomento, come la Commissione “Giostra”, la Commissione “Palazzo”, quella del C.S.M. e lo stesso “Working Paper”, voluto dal Prof. Glauco Giostra. Sono stati trattati i temi relativi agli artt. 4 bis e 58 ter dell’ordinamento penitenziario, l’ergastolo ostativo, la liberazione anticipata, l’isolamento, i permessi, le preclusioni, l’indulto (e l’amnistia impropria).
E’ stato anche condiviso il progetto dell’“Osservatorio Carcere” dell’Unione Camere Penali italiane, per sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza del trattamento e sulla stessa riforma voluta dal Ministro della giustizia.
Educare l’opinione pubblica, per poter poi davvero mettere in campo risorse ed energie per “rieducare” il condannato è il primo passo da compiere se davvero si vorrà dare esecuzione ai lavori degli Stati Generali.
Non si è voluto scrivere un nuovo articolato dell’art. 41bis dell’ordinamento penitenziario, argomento delegato al Tavolo n. 2, ma, dopo aver rimodellato gli artt. 4bis e 58ter ord..penit., è sembrato doveroso un riferimento al carcere c.d. “duro”.

Sintesi delle proposte

  1. Prevedere soluzioni normative che possano adeguare il sistema alla finalità rieducativa della pena; in particolare, alla individualizzazione del trattamento secondo la linea indicata dalla Costituzione
  2. Revisione delle norme sul divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la Giustizia
  3. Eliminazione di automatismi e di preclusioni che impediscono o rendono molto difficile, sia per i recidivi, sia per gli autori di determinate categorie di reati, l’individualizzazione del trattamento rieducativo e la revisione della disciplina di preclusione dei benefici penitenziari per i condannati alla pena dell’ergastolo
  4. Valutare se non siano opportuni interventi normativi in grado di eliminare sbarramenti al trattamento rieducativo, che non dipendano dalla condotta e dall’atteggiamento dell’interessato, bensì da aprioristiche presunzioni assolute. Particolare attenzione all’isolamento diurno
  5. Prefigurare ipotesi in cui, senza ricorrere ad alcun automatismo o presunzione assoluta, ci si faccia carico della gravità della pena e della particolare pericolosità del reato, elaborando presupposti più rigorosi e più impegnativi accertamenti istruttori per l’accesso alle misure alternative
  6. Affrontare il problema dell’ergastolo ostativo
  7. Ipotizzare interventi di tipo amministrativo e organizzativo per migliorare l’intervento trattamentale e lo sviluppo dei percorsi individuali
  8. Sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema dell’ergastolo e sulle questioni attinenti allo sviluppo delle attività trattamentali nell’ottica della riduzione della recidiva e quindi della maggiore sicurezza dei cittadini.

 

TAVOLO 17

Rispetto al perimetro tematico originariamente assegnato, il tavolo ha enfatizzato l’affermazione secondo la quale “se la pena deve tendere al reinserimento nella società occorre progettare e articolare tutta l’esecuzione penale in funzione di questo inserimento”. Di qui la scelta di affrontare temi che apparentemente sembrano esulare dalla stretta definizione di tale perimetro, ma che in realtà vanno a porre le premesse per efficaci percorsi di reinserimento sociale per le persone a fine pena.

Ciò che va ribadito è il principio secondo il quale la responsabilità della progettazione e della realizzazione di tali percorsi non è prerogativa della sola Amministrazione penitenziaria, ma deve essere posta a carico di tutti gli attori sociali (pubblici e privati) che operano sul territorio. Questo principio, se concretamente realizzato, potrebbe consentire di superare due orientamenti istituzionali e socio-culturali quanto mai deleteri per il raggiungimento degli obiettivi costituzionali della pena: da un lato, quello di chiusura e autoreferenzialità dell’amministrazione penitenziaria, storicamente avvezza a considerare tutto ciò che proviene dall’esterno come elemento di disturbo delle dinamiche infra-carcerarie, e, dall’altro, quello di indifferenza e disinteresse delle istituzioni locali e degli operatori economici, i quali tendono a non percepire come parte della loro missionorganizzativa quella di contribuire alle attività di reinserimento sociale delle persone in esecuzione penale.

Essenziale in tale prospettiva coinvolgere il pubblico dei non addetti ai lavori (in particolare le fasce di popolazione giovanile) con strumenti di comunicazione accattivanti (cinema, fiction televisive, fotografia, allestimenti museali interattivi, teatro, musica etc.), ma che al tempo stesso sappiano veicolare un messaggio culturale orientato a far conoscere correttamente e in tutta la sua complessità il mondo dell’esecuzione penale. Un modo diverso di presentare tale universo che sia in grado anche di inoculare nell’opinione pubblica elementi culturali in grado di immunizzare i cittadini dalla nefasta influenza di quelle campagne mediatiche di “panico morale” tanto frequenti in tempi di populismo penale.

Obiettivi

  1. Disamina ordinamento penitenziario del 1975 e normative affini all’esecuzione penale
  2. 1. Ruolo degli Enti locali nelle politiche di reinserimento
    2. Progetti e percorsi virtuosi e disseminazione buone prassi
  3. Soluzioni normative e amministrative per maggior impulso agli Uffici esecuzione penale esterna
  4. 1. Percorsi di formazione congiunta
    2. Interventi economici a favore di iniziative di reinserimento sociale
  5. Incremento nell’opinione pubblica della percezione dell’esecuzione penale come fattore di sicurezza
  6. 1. Disponibilità del terzo settore, del privato sociale e del volontariato
    2. Contenuti normativi per un più ampio ricorso al volontariato e del privato sociale

 

 

 

TAVOLO 18

Il Tavolo ha condotto una riflessione ad ampio spettro euristico, ascoltando e sistematizzando le analisi e le proposte scaturite dai diversi angoli di visuale dei partecipanti, che si sono definite nelle esperienze e nei saperi confluite nel corso del confronto.

Il tenore della riflessione ha confermato il principio che il carcere deve essere interpretato come extrema ratio, laddove altri percorsi non siano attivabili o siano stati ripetutamente tentati senza successo. È emersa una visione d’insieme dell’esecuzione penale che, nel convincimento condiviso dai componenti del Tavolo, deve svilupparsi su percorsi di trattamento nei quali l’offerta rieducativa deve accompagnare il reo durante la detenzione e nel periodo immediatamente successivo all’uscita.

In tal senso, il Tavolo ha condotto una profonda disamina sui nuovi scenari organizzativi tracciati dal d.p.c.m. 15 giugno 2015 n. 84, entrato in vigore il 14 luglio 2015, che determineranno una nuova configurazione degli uffici che si occupano di esecuzione penale.

Il Tavolo, pertanto, ha tracciato una griglia di intenti e di azioni programmatiche improntate a criteri di efficienza e trasparenza, nonché ai seguenti criteri:

  • riduzione dei tempi di decisione per provvedimenti riguardanti la privazione della libertà e le sue modalità attuative,
  • riduzione del numero di funzioni e istanze di staff centrali,
  • maggiore responsabilizzazione delle articolazioni territoriali, soprattutto di livello dirigenziale generale,
  • efficace comunicazione con altri Organi interessati all’esecuzione penale, in particolare con la magistratura di sorveglianza,
  • positiva comunicazione con il mondo esterno dell’informazione per la costruzione dei una migliore conoscenza della realtà detentiva da parte della collettività.

Obiettivi

  1. “Attuare il riassetto delle strutture organizzative del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della Giustizia minorile e di comunità, in tutti i loro livelli di governo, al fine di razionalizzare le risorse e ridurre la spesa di gestione”
  2. “Creare una nuova linea strategica per rinforzare gli interventi di trattamento del ristretto e consolidare le interlocuzioni tra l’area detentiva e la comunità sociale”
  3. “Consolidare l’integrazione dei sistemi metodologici dell’esecuzione penale degli adulti con quella dei minori”
  4. “Sostenere il processo di riorganizzazione del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e del Dipartimento della Giustizia minorile e di comunità alla luce del nuovo Regolamento del Ministero della Giustizia”
  5. “Definire modalità di connessione tra i due Dipartimenti che assicurino l’omogeneità degli interventi di esecuzione penale, pur attuati attraverso una diversificazione degli strumenti”
  6. “Prevedere per i due dipartimenti un sistema di gestione manageriale delle risorse finanziarie a disposizione del settore per le politiche di inclusione, la giustizia riparativa e la mediazione penale”

“Prevedere la costruzione di una migliore conoscenza della realtà detentiva da parte della collettività esterna”.

Siamo la Veneranda Compagnia di Misericordia

La storia della Misericordia prosegue negli anni più recenti (negli ultimi decenni) rimanendo sempre fedele con impegno cristiano al suo scopo originario di assistere i carcerati e, in più generale, le persone coinvolte con i problemi di giustizia .